GRAMMATICA E SESSISMO

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Out of the bubble? Riflessioni sull’insostenibile canone della moda

In data we trust…

I dati raccontano tante storie, storie diverse, che cambiano col punto di vista adottato per analizzarli.

La disaggregazione – che può essere seguita da una riaggregazione, e spesso lo è –, riduce la storia ai suoi componenti minimi, ai suoi ingredienti, che possono essere trattati da indizi utili a ricostruire i gusti di coloro a cui sono riferiti, a cui possono essere ricondotti.

Ma gli stessi dati possono essere trattati come narrazioni sociali, utili a ricostruire l’orizzonte di attese e di conoscenze di chi li ha intrecciati facendone un testo.

Unità minima di conoscenza, un testo ha un significato – sia individuale sia sociale – che supera la somma dei significati di cui sono portatori gli elementi che lo costituiscono.

La ricostruzione di questo significato, olistico, si giova della conoscenza degli ingredienti, che però non bastano a ricostruire le intenzioni che lo hanno prodotto.

Il testo infatti è non solo ciò che è – ciò che viene espresso –, ma è anche la rete delle cose che già si sanno del mondo e dall’argomento specifico intorno a cui si sta comunicando.

Un testo è fatto anche delle inferenze che, per le specificità cognitive proprie della nostra specie, di continuo traiamo. Ovvero del recuperare significato e conoscenza anche da quello che non è detto ma che si ottiene per deduzione, per implicazione. Per lo più senza che ci sia consapevolezza di farlo.

Nel caso della moda, che è al contempo il discorso e il contenuto del discorso che stiamo analizzando, l’importanza della ricostruzione del perimetro che ospita il discorso e della rete di preconoscenze e implicazioni che il discorso attiva è ancora più importante di quanto possa esserlo per altri casi.

Il perché ce lo dice il significato stesso di moda, il suo scrigno fatto di semantica cognitiva prima che lessicale. Uno scrigno che alle nostre menti consegna una cosa che senza strumenti analitici si patisce, senza capirne la ragione.

Questa ragione la si può cogliere, anche se non completamente, frugando negli strati meno superficiali della semantica, che il fatto di sapere “solo” parlare una lingua non ci permette di esplorare. Ma che comunque “pesano” cognitivamente, che lo si voglia o no. Che lo si colga o no.

Moda è un prestito dal francese di alcuni secoli fa, ed è al contempo il recupero di qualcosa che era già ben presente nella lingua che lo ha fornito al francese e all’italiano: il latino modus.

In latino modus è la misura: est modus in rebus.

Ed è anche la misura di questa misura: il latino ci restituisce infatti la “regola aurea” della medietas, della mediocritas. Ma… a che quantità corrisponde questa mediocritas/medietas?

A una quantità che deve essere non troppo né poco… Ma quanta?

A quella che viene fissata modo, che in latino significa ‘ora’. Modo è quindi la misura giusta ‘qui e ora’.

Il discorso che sta “sotto” moda, dentro lo scrigno di moda, e che si può ricostruire attraverso la messa in controluce della semantica lessicale, è perciò un discorso in cui c’è UN solo modus, una solo modo /‘maniera’, la cui misura va intesa in modo assolutamente sincronico qui e ora: nient’altro.

Né tempo né spazio altri con cui confrontarsi.

Un modus la cui misura, se in grado di assumere valore e prestigio agli “occhi” della mente dell’individuo-società, si fa misura di riferimento. Si fa modellus, ‘modello’ col quale confrontarsi e al quale aspirare per diventare parte del sistema di valori di cui il discorso è espressione e al contempo parte espressa.

Il modello, insomma, si fa canone. Non è più un modo ma IL modo. E come tale rende opachi e invisibili tutti gli altri.

Tutta quella diversità che, nel caso dei corpi, unità minima del linguaggio “moda”, è in natura. Ed è quindi la norma, non l’eccezione. L’eccezione, semmai, la non naturalità, è la pretesa di ignorare i tanti modi di essere corpo. Che è un po’ come l’equivalente di aspirare a un habitat senza biodiversità.

D’altra parte questo è il rischio che viene evocato quando si parla della necessità di una società meno insostenibile, o, se si preferisce, più sostenibile. La sostenibilità infatti non si esaurisce con l’ambiente, o almeno non con quello naturale. C’è anche un ambiente antropico che va preservato dal rischio di rendere inadeguati tutti i corpi – e con essi gli individui – che non rientrano nella misura con cui – ora/modo ­– coincide il canone.

Da tutto questo impianto che ho cercato di ricostruire e che ha nella semantica più recondita di moda il proprio momento fondativo, deriva la necessità di una moda sostenibile e “naturalmente” varia. In cui possano trovare “naturalmente” posto le varietà dei corpi.

In cui non ci sia bisogno di termini come body positivity e body positive: frutto di un imbarazzo col quale ci si deve quasi giustificare per il fatto di non risultare come modellus vorrebbe.

Di recente la moda, il fashion, che ha colto le potenzialità economiche e commerciali e sociali dell’essere modellus, ha iniziato a fare ammenda per aver “lucrato” sull’invisibilità coatta dei tanti modi di essere corpo al di fuori del modellus, del modo migliore e perciò giusto: del come si deve essere, ora, in questi tempi, per piacere per piacersi.

Ma la dichiarazione di ammenda, di volontà di restituire spazio sociale e comunicativo a questi tanti corpi, è autentica? O è una operazione di marketing sociale?

Un esempio di quel risciacquo in tinte verdi o rosa che fa apparire le cose solo vagamente verdi o rosa, ma abbastanza verdi o rosa da respingere le accuse di essere produttori di infelicità che più o meno direttamente si muovono a una moda che canonizza e, a cascata, stigmatizza ciò che non entra, manco a pigiarlo, nella misura fissata dal canone?

I dati che – grazie a transformers, tools e algoritmi, oggi possiamo maneggiare in quantità, e che grazie alla conoscenza, ai saperi sanno restituirci qualità –, ci dicono che ad oggi, quello della moda sostenitrice della biodiversità sociale dei corpi e degli stili di vita è una operazione di facciata. Non si può dire, solo con questi dati, se ci sia consapevolezza di ciò. Difficilmente però si potrebbe concordare con l’affermazione che nella moda ha trovato posto una nuova moda.

Che ci sia stato uno squarcio nella bolla…

Link al sentiero di parole Zanichelli su “La moda tra modi e modelli”

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