di Francesca Dragotto*

Ottobre 2018, giovedì 4. Articolo de Il Secolo d’Italia. Vi troneggia, al di sotto di una immagine piuttosto eloquente di donna dalle sembianze allusivamente boldriniane, cui, per effetto del blocco procurato da una mano, è impedito di parlare

Addio a “presidenta” e “ministra”: il Palazzo rinnega e resetta la Boldrini

Esaurita, nel primo blocco, la disamina sulla ex presidente della Camera, responsabile dello sperpero di denari pubblici a causa dell’imposizione (vezzosa? ideologica? l’una e l’altra?) della femminilizzazione di “diciture, carte e badge in circolazione a Montecitorio, costringendo addetti ai lavori e accademici della Crusca a una repentina inversione di tendenza linguistica”, l’autrice dell’articolo, Prisca Righetti, muove alla descrizione del nuovo. Un nuovo salutato dal favore di molti e, soprattutto, di molte: tutte quelle deputate ben felici di manifestare la propria distanza dal novero invero assai contenuto “delle pasionarie – molto poche, per la verità – favorevoli all’inedita declinazione al femminile che, invece, moltissime altre colleghe hanno ritenuto, e da subito, discriminatorie al quadrato”.[1] “Insomma, niente più consigliera in luogo del canonico consigliere” (nel testo questo passaggio precede quello citato poc’anzi).

Il nuovo è visivamente segnalato e anticipato dal titolo spartiacque

Intestazioni femminilizzate dalla Boldrini: si cambia

A essere chiamata in causa è l’iniziativa del 2016 – richiamata dal virgolettato enfatico “indirizzi in tema di linguaggio di genere”, preceduto nel testo da nuovi – “rispedita al mittente oggi, considerata dal suo esordio, sempre e comunque un passo indietro, anacronistica almeno quanto formalmente risibile”.

Icastica ed efficace o efficace perché icastica la conclusione del pezzo, nella quale si afferma “La parità di genere, insomma, non passa necessariamente per la grammatica”.

Da questo articolo e in particolare da tre passaggi e dal filo piuttosto spesso, in termini di semantica, che ne lega gli aggettivi più caratterizzanti (sottolineati per praticità)

  • costringendo addetti ai lavori e accademici della Crusca a una repentina inversione di tendenza linguistica
  • inedita declinazione al femminile
  • niente più consigliera in luogo del canonico consigliere

trarranno alimento queste brevi considerazioni, che a chi ha pratica con la rete ricorderanno la pratica nota come debunking, ovvero, per farla breve, lo smascheramento di una notizia infondata o falsa o antiscientifica. O tutte e tre le cose, nell’ordine che si preferisce.

Premessa la libertà individuale di riferirsi a se stesse – o ritenere indifferente che il riferimento alla propria persona, intesa in senso professionale, possa avvenire – nel modo che più aggrada, e messo in chiaro che ci si muoverà nell’unica prospettiva in cui chi scrive si sente abbastanza a proprio agio – quella della descrizione della lingua e del suo funzionamento – si cercherà di effettuare una operazione di debunking politico, con quest’ultimo aggettivo a intendere, ed esclusivamente, ciò che è pertinente con la vita della polis, ovvero della società (la città nel senso lato). Società che, con natura e cultura, costituisce ossatura ed essenza del linguaggio verbale.

Questo debunking andrà perciò inteso come grosso modo assommante ciò che nella ben più longeva tradizione culturale dell’era pre-social (non importa di che epoca) si era soliti denominare senso critico e verifica delle fonti e delle informazioni. Per lo meno prima di scrivere e prima che il gusto per il monorematico (una sola parola per un concetto) – ancora più apprezzato da molti palati se anglofono, e ancora e ancora di più se assolutamente sincronico (qui e ora) – iniziassero a mostrare nei confronti della diabolica coppia quel genere di sospetto talora dispensato nei confronti di chi si limita all’applicazione della (fettina di) conoscenza di cui anela ad essere specialista.

Nei passaggi contestati si va infatti ad affermare che

  • la lingua cambia per decreto: falso
  • i nomi di professione al femminile costituiscono il frutto di un indirizzo nuovo, datato 2016: falso
  • l’Accademia della Crusca si trova, anzi si è trovata, per effetto degli indirizzi su menzionati, a inseguire le tendenze linguistiche imposte per via di indirizzo: falso

Non ultimo si rileverà l’assenza di fondatezza a reggere l’affermazione

  • “Il femminile discrimina: fuori luogo, perché si chiama in causa un fatto linguistico a spiegare qualcosa che non c’entra con la lingua”.

Pur essendo prassi della linguistica descrivere e non prescrivere – la varietà normata di una lingua costituisce uno dei modi (quello che ha prestigio, che è reputato degno di essere imitato, ma pur sempre uno e per di più soggetto al mutamento) di impiegare la lingua – qui si adotterà una prospettiva volutamente più ristretta: quella tipica delle grammatiche normative. Ciò per mettere in evidenza il tasso di pregiudizio, da intendersi, richiamando l’omonima voce del Vocabolario Treccani, come “Idea, opinione concepita sulla base di convinzioni personali e prevenzioni generali, senza una conoscenza diretta dei fatti, delle persone, delle cose, tale da condizionare fortemente la valutazione, e da indurre quindi in errore (è sinon., in questo sign., di preconcetto)”. E non, dunque, nel senso vicino a schema mentale, con cui il termine è pure usato nelle scienze cognitive.

Ciò che, nella fattispecie di questo discorso, appare scarsamente frequentato ricade nel dominio della lingua avente a che fare con

  • uso degli allocutivi, ovvero le forme impiegate dal parlante per denotare l’interlocutore
  • regole di accordo, per esempio tra nome ed aggettivo o tra articolo e nome

oltre che con

  • la morfologia del nome, che, nel caso dei nomi di professione, si offre a chi la osservi – e non da ora – multisfaccettata.

Tanto da costituire fonte di dubbio anche per chi abbia dimestichezza con le strutture linguistiche. E non solo dell’uso medio.

Un riscontro, in tal senso, a breve giro di clic e insieme di peso è offerto proprio dal servizio di consulenza linguistica della Crusca, più volte tornata sulla questione, come si può facilmente evincere da tutti gli interventi a proposito, tutti datati in modo da consentire, a chi lo voglia, anche di ricostruirsi le eventuali tendenze sopraggiunte nell’uso.

Tre almeno i casi da citare, dal più recente, dello scorso anno, al più datato, del 2002, in cui però si offre la sintesi di un intervento di Luca Serianni del 1996. Tre interventi spalmati su un ventennio nel quale la lingua italiana si è mostrata tutt’altro che statica, agli occhi di chi se ne occupa, e la descrive, per professione.

Se ne riporterà una sintesi, evidenziando, come sopra, i passaggi su cui vale la pensa di soffermarsi, perché utili a destrutturare quanto affermato nell’articolo citato in apertura, i cui contenuti sono però vicini al sentire di fette consistenti di persone italofone.

Le forme femminili riferite a ruoli istituzionali o professioni che stanno entrando nell’uso comune sulla scia dei progressi in campo lavorativo, professionale e istituzionale compiuti dalle donne sono perlopiù termini “trasparenti” per quanto riguarda la loro struttura morfologica perché seguono le più comuni modalità di formazione dei nomi:

(a) base che porta il significato + desinenza, come in ministr-a (cfr. maestr-a). Quando la desinenza è -e il termine femminile è uguale a quello maschile ma prende l’articolo femminile, es. la vigile.

(b) base che porta il significato + suffisso + desinenza come consigl-ier-a (cfr. panett-ier-a).

Esistono però anche termini la cui formazione è meno trasparente e che possono generare qualche esitazione a usarli. Vediamo qualche esempio. I termini maschili testimone, pasticciere e scultore […]

La ricca morfologia dell’italiano è dunque responsabile delle comprensibili incertezze che suscitano alcune nuove forme femminili nei parlanti.

Vediamo qui alcune forme femminili che ci sono state indicate come “problematiche” perché, rispettivamente, non erano state mai o solo scarsamente usate in passato (medica), oppure sono in concorrenza con altre più conosciute (poeta e direttora) o pongono dubbi riguardo alla loro declinazione plurale (pilota).

Medica è “accettabile”? E dire medichessa “è possibile”?

In entrambi i casi la risposta è affermativa perché entrambe le forme sono attestate nella letteratura fin dai primi secoli: e ciò non deve sorprendere perché si hanno numerosi esempi di donne che esercitavano l’arte medica a partire dalle Mulieres Salernitanae […]. La forma medica è lemmatizzata nel Dizionario universale critico-enciclopedico della lingua italiana dell’abate Francesco D’Alberti di Villanuova (1797-1805) e nel Dizionario della lingua italiana di Niccolò Tommaseo e Bernardo Bellini  come “s.f. di medico” con il significato di “Donna che esercita la medicina o ha una certa pratica nella cura delle malattie o che si dedica a curare una persona malata o ferita”.

Se ne hanno esempi in Boccaccio, Il Corbaccio (“Sole che le ’ndovine, le lisciatrici, le mediche e i frugatori, che loro piacciono, le fanno, non cortesi, ma prodighe”); nel Tasso, La Gerusalemme liberata (“Tu chi sei, medica mia pietosa?”); nei Panegirici di Emanuele Tesauro (“mille personaggi diversi di mendica e medica, di matrona e di madre, di padrona e di ancella, di prefica e di sepellitrice”); nell’Angelica di Pietro Metastasio (“La medica cortese / non volle ch’altra mano al fianco infermo / s’accostasse giammai”). Anche la forma medichessa, che in D’Alberti è glossata con “s.f. di medico, ed è nome per lo più detto per ischerzo” con un rimando alla forma medicatrice, compare in varie opere: nella Fiera di Michelangelo Buonarroti il Giovane (“Questa donna mi pare una di quelle / donne saccenti che noi troviam spesso / per queste e quelle cose / far delle medichesse e delle faccendiere”); […]

A partire dalla seconda metà dell’Ottocento medica è praticamente scomparso dall’italiano scritto (il corpus DiaCORIS non ne fornisce esempi). Medichessa viene difeso dal grammatico Raffaello Fornaciari nella sua Sintassi (1881) ma è attestato raramente e quasi sempre è usato ironicamente, come risultava già dal passo di Salvini visto sopra. Rispetto a medica, infine, medichessa sembra conservare tutt’oggi una connotazione legata ad attività e pratiche proprie dell’arte medica del passato ma che oggi sono assenti dalla professione, quali quelle di sacerdotessa guaritrice, di creatura dotata di poteri magici e di capacità divinatorie. Tutto ciò, unito alla disponibilità del termine formato semplicemente con base lessicale e desinenza (medic-a) che rende non necessaria la forma con il suffisso –essa, foneticamente più pesante, induce a suggerire l’uso della forma medica rispetto a medichessa. E infatti è questa la forma (sostenuta anche dalla condanna delle forme in –essa espressa da Alma Sabatini nel suo lavoro Il sessismo nella lingua italiana 1987!) che, nonostante qualche esitazione, comincia ad affacciarsi anche nel linguaggio della stampa: si veda il titolo La medica ti cura meglio di un articolo comparso nel blog di “Repubblica” Il fattore X, di Letizia Gabaglio ed Elisa Manacorda il 20.12.2016. 

Il settore dei nomi professionali è un settore particolarmente soggetto a discontinuità e oscillazioni che dipendono spesso da ragioni extra-linguistiche. La prima causa dei dubbi che riguardano la forma corretta del femminile di alcuni nomi di mestiere è infatti da rintracciare nei cambiamenti sociali avvenuti negli ultimi decenni e nel nuovo ruolo della donna nella società contemporanea. Tema dunque alquanto delicato, denso di implicazioni sociali, comunicative, psicologiche e giuridiche, nonché linguisticamente difficile: nella stessa Accademia della Crusca, alcuni accademici sono intervenuti a più riprese, non sempre concordando tra loro, per rispondere a quesiti su questo argomento (ad esempio le risposte di Luca Serianni su La Crusca per voi, n. 8 (aprile 1994) e n. 13 (ottobre 1996) pubblicata anche su questo sito).

Quando si parla di “norma” in linguistica, si parte da un parallelo, più o meno esplicito, con la norma per eccellenza, quella giuridica […]

Come ogni parallelo, anche questo non può essere spinto oltre un certo segno: il diritto abbraccia l’insieme delle fattispecie giuridicamente rilevanti, in un sistema coerente che registra solo lentamente e prudentemente le modificazioni del comune sentire che avvengono nella società; la grammatica è invece molto più condizionata dall’uso reale… una norma grammaticale perde ogni significato se la comunità dei parlanti cessa di considerarla vincolante o almeno propria dell’uso più prestigioso.

[…] Per il prof. Malesci, che richiama un noto opuscolo ufficiale del 1987 (le Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana, compilate da Alma Sabatini) il futuro è delle forme femminili: la ministra, l’avvocata, la soldata. Può darsi che egli abbia ragione. A me sembra però che, al di là dell’uso di alcuni giornali (non di tutti!), più sensibili al “politicamente corretto”, nella lingua comune forme del genere non siano ancora acclimatate e, anzi, potrebbero essere oggetto d’ironia […]

Sul loro successo incide negativamente anche il fatto che molte donne avvertano come limitativa la femminilizzazione coatta del nome professionale, riconoscendosi piuttosto in una funzione o una condizione in quanto tale, a prescindere dal sesso di chi la esercita.

Si è poi deciso di riportare un frammento di un intervento, scelto tra diverse decine che il sito della Crusca consente di intercettare, la cui autrice, Patrizia Bellucci, cita, nel 2014, ancora Luca Serianni, le cui considerazioni sulla serie di nomi in –tore risalgono però 1989; di poco posteriori, pertanto, al lavoro di Alma Sabatini citato da Robustelli e di cui si è da poco celebrato il trentesimo anniversario.

Tuttavia, dato che in questore il suffisso –tore è preceduto da consonante diversa da t, è possibile e legittimo anche il femminile in –tora, come in pastora, impostora, fattora, tintora, ecc. La serie di agentivi in –tora di più antica attestazione si riferisce per lo più a professioni “basse” per cause primariamente extralinguistiche, ma anche perché – come ha osservato ancora Luca Serianni (SERIANNI 1989) – “Nel suffisso –trice la desinenza –e non reca un esplicito contrassegno del femminile, e di conseguenza la lingua popolare tende ad utilizzare il maschile –tore, mutandone la terminazione in –a. Si ha in questi casi un’opposizione –tore / tora, più regolare e immediata“.

Quanto al lavoro su Il sessismo nella lingua italiana, del 1987, non se ne citeranno delle sezioni, il cui contenuto appare a questo punto ampiamente prevedibile, ma se ne rievocherà l’eco attraverso la prefazione alla seconda edizione al volume, del 1993

Il sessismo nella lingua italiana uscì nel 1987 suscitando nel mondo accademico e, più in generale, in quello legato all’informazione, un interessante dibattito sulla corrispondenza effettiva tra significante e significato, mettendo in luce, tra l’altro, il legame tra discriminazioni culturali e discriminazioni semantiche. L’idea di trasformare completamente la lingua italiana in una lingua “non sessista” non è stata realizzata, né d’altronde era immaginabile che lo fosse. Lo studio ha avuto comunque l’innegabile merito di avere sollevato il problema e di averlo reso presente soprattutto a chi con il linguaggio lavora. Il mondo della scuola, ad esempio, gli insegnanti più attenti a queste tematiche, hanno trovato in questo libro un prezioso strumento di lavoro, che infatti ci viene continuamente richiesto: a loro in particolare è indirizzata questa ristampa.

Autrice della prefazione fu Tina Anselmi, allora Presidente della Commissione nazionale per la parità e le pari opportunità tra uomo e donna.

D’altra parte, Prefazione per Presentazione, quella, stavolta, di Elena Marinucci, all’epoca di quella prima pubblicazione, nel 1987, Presidente della stessa Commissione

Uno degli scopi precipui della Commissione per la realizzazione della parità tra uomo e donna è quello di rimuovere tutti i residui pregiudizi nei con fronti delle donne stimolando e favorendo un cambiamento nel modo di pensare, di agire e di esprimersi.

Le leggi non bastano per modificare la società, quando “abiti” culturali e atteggiamenti continuano a ribadire sfiducia per le donne che non rientrano nei ruoli imposti dalla cultura maschile.

Perché il rapporto di potere tra i sessi cambi in senso veramente paritario si deve anzitutto acquistare consapevolezza delle varie forme in cui la disparità viene mantenuta.

La lingua che si usa quotidianamente è il mezzo più pervasivo e meno individuato di trasmissione di una visione del mondo nella quale trova largo spazio il principio dell’inferiorità e della marginalità sociale della donna.

Il gioco di rimandi potrebbe continuare, senza però aggiungere nulla di davvero significativo se non l’indiscutibilità di un assunto: l’apparire sempre nuova – e frutto di una degenerazione moderna (nel senso etimologico della parola, formata a partire dall’avverbio latino modo, significante ‘ora’) – la volontà, attribuita per lo più a una singola persona o ai suoi accoliti diretti o non, di snaturare ciò che è sempre stato così. E che così occorrerebbe mantenere, pena la dissoluzione di una integrità difesa a spada tratta da chi, ieri come oggi, reagisce a queste proposte con

  • ironia generica o di matrice ideologica

o soffermandosi sulla

  • cacofonia e risibilità (e dunque inopportunità) di forme “raccomandate”, quali nomi di professione del tipo ingegnera

a riprova della scarsa consapevolezza della potenza della lingua nella ricreazione di una immagine del reale e di sé.

Si potrebbe allora tentare il colpo di scena, sfidando a immaginare chi e quando abbia riferito di questo episodio, con protagonista Clara Boothe Luce.

[…] Altra domanda che molti si fanno, e che i dizionari al solito non risolvono: un sindaco in sottana è una sindachessa o resta sindaco? Un avvocato che si chiama Maria o Maddalena resta avvocato o si tramuta in avvocatessa? Ricordo le chiacchiere che si profusero quando, per la prima volta al mondo (almeno così credo), fu nominato come ambasciatore americano a Roma una donna, la squisita signora Clara Boothe Luce. Nessuno osava chiamarla ambasciatrice; ma tutti “l’ambasciatore Clara Luce” e allora venivan fuori cosette davvero amene, come quella volta che un giornale, nel resoconto di una serata di gala, avvertì compiaciuto che l’ambasciatore americano era intervenuto indossando “un superbo abito di seta color malva molto scollato”, e un altro giornale parlò imperterrito del “marito dell’ambasciatore americano a Roma”, alludendo all’editore Henry Luce, coniuge di Clara. Di fronte a queste baggianate, la logica e la grammatica ebbero alla fine la meglio; e finalmente si sentì dire e si vide stampato l’ambasciatrice Clara Luce.

L’anno era il 1976 e l’autore Aldo Gabrielli, curatore dell’omonimo dizionario, non del GRADIT.

Imperdibile il richiamo alla logica

Voglio dire che per me, che cerco di ragionare sempre a fil di logica, appunto, e di grammatica, certi problemi, come questi del sindaco e della sindachessa, dell’ambasciatore e dell’ambasciatrice, non si pongono neppure. La grammatica insegna una cosa elementare: che per gli uomini esiste un maschile e per le donne un femminile. Non si può fare eccezione per un sindaco o per un ambasciatore. Il fatto è che certe svolte sociali, come oggi si ama dire, portano sempre con sé perplessità e discussioni in ogni campo.

A parte, perciò, i casi di nomi ambigeneri o epiceni, come presidente, che negli atti ufficiali non risulta mai essere stato impiegato dalla citata Boldrini come presidenta (la ramanzina era semmai per l’accordo dell’articolo: fake news nella fake news?), nonostante la lingua le consentisse di farlo, e per di più attingendo a varianti almeno in primis tipiche di varietà più popolari, appare chiaro come non sia stata perpetrata nessuna forzatura sulla lingua.

E per anticipare le obiezioni di chi tirerà in ballo la questione del rinvio al nome di professione (sulla cui genesi occorrerebbe comunque riflettere, così come su quella del maschile che include il femminile), si dirà subito che nei casi citati non si ha a che fare con riferimenti impersonali, bensì con allocuzioni, forme, altresì, che presuppongono l’inclusione dell’interlocutrice, fisica o discorsiva.

Non sarà, inoltre, sfuggita, la presenza dei richiami, da parte di autori e autrici delle Cruscate, del Dizionario della Lingua Italiana di Nicolò Tommaseo e Bernardo Bellini, detto brevemente anche Tommaseo-Bellini, la cui prima edizione, datata 1861, ci offre uno spaccato della lingua del Risorgimento.

Vi si trovano a lemma oltre alla già citata

MEDICA.

  1. f. di MEDICO. Medichessa. In Apul. e in un’Iscr. – Bocc. nov. 3. g. 3. (C) Dunque mi volete dare voi medica per mogliere? Lab. 139 Sole le ‘ndovine, le lisciatrici, le mediche, e’ frugatori, che lor piacciono, le fanno non cortesi, ma prodighe. Fr. Jac. Tod. 2. 14. 9. Ella è maestra medica Per sanar lo coraggio. Ovid. Pist. Egli m’insegnò a esser medica, e insegnommi tutte le buone erbe. Bocc. nov. 10. g. 4. Perchè ella, che medica non era, comechè medico fosse il marito, senza alcun fallo lui credette esser morto. Tass. Ger. 19. 114. E tu chi sei, medica mia pietosa? Ella… Saprai, risponde, il tutto: or (tel comando Come medica tua), taci, e riposa. Red. Lett. 5. 268. Lasci operare alla natura vera medica di tutti i mali.

  2. E fig. Fior. S. Franc. 87. (Mt.) Non più, o santissima Madre Vergine, o medica benedetta. Esp. Salm. (Livorno, 1799). Non solamente tu se’ nostra madre, ma eziandio se’ nostra medica.

MINISTRA.

  1. f. di MINISTRO. Aureo lat. T. Sant’Ant. Lett. Sant. Beat. fior. p. 262. Potrebbe dire alcuna (monaca): «Io non tengo, ma tiene la mia ministra o vicaria per me». O vero: «Io tengo alcuna cosellina con licenza». Rispondo, questi essere futilissimi inganni, e guastare la vera povertà. Dant. Inf. 29. (C) Giù ver lo fondo, dove la ministra Dell’alto Sire infallibil giustizia Punisce i falsator.

  2. E fig. Bemb. Son. 47. (M.) Cote d’amor, di cure, e di tormento Ministra (parlasi della speranza). Bocc. Nov. 2. g. 6. E così le due ministre del mondo (Natura e Fortuna) spesso le lor cose più care nascondono. Epist. Cicer. 17. (Gh.) La falsa accusazione, che soleva essere ministra dell’avarizia de’ Pretori. T. Segn. Poet. 281. Dell’arte istrionica, ministra della poetica.

Ma anche

MINISTRESSA.

[G.M.] Fem. di MINISTRO, nel signif. del § 5. La moglie del ministro. Ma tiene della cel. La signora ministressa ha gran conversazione stassera.

E, ancora da ministrare,

MINISTRATRICE.

Verb. f. di MINISTRARE. Aureo lat. Di suono non grato. Tass. Dial. il Ficin. (Mt.) [Cerq.] L’arti… che ci sono ministratrici de’ piaceri, furon ridotte in quest’ordine.

E poi gigantessa ma anche giganta, e persino compagnessa, femminile di compagno già in disuso all’epoca della redazione del dizionario.

Presente è anche soldata, non per il femminile ma per la locuzione alla soldata (‘Alla foggia de’ soldati’), così come marescialla per la moglie del maresciallo, diavolessa, avvocatessa (S. f. d’AVVOCATO. Famil. e per cel. Donna che, sdottorando, parla di molto) avvocata (da citare le accezioni: 2 Titolo d’una goffa commedia: Le donne avvocate; nel senso di Avvocatessa. Donna che parla di molto, e sa dire, o pretende di saper dire, per sè o per altri le sue ragioni; per cel. o iron.: È una buona, una grande avvocata!) e persino avvocatrice, già caduta in disuso insieme, stavolta, al corrispettivo maschile. Come varianti di medica compaiono poi medichessa e medicatrice, entrambe citate in una Cruscata, e a completare il quadro, seppur parzialmente, sindaca, che

SINDACA

Trovasi anche in genere f. Fav. Esop. S. 51. (C) Chiamò a sè (lo sparviere) la colomba, la quale era stata sindaca, per portarle la lezione della sua signoria, e dissele simiglianti parole: Dolce amica…

segnalato come caduto in disuso. Tra le forme “normali” alle orecchie anche di chi si appella alla tradizione alla continuità sono infine da annoverare professoressa, con la variante professora, e dottoressa, con l’immancabile alternativa dottora, altro falso neologismo di una pseudoneolingua che invece già cementava quello che sarebbe stato poi salutato, dopo tempo e spazio e uso, come italiano moderno

DOTTORA.

[T.] S. f. di DOTTORE. Doctrix, nella Volg. e in Cassiod.

  1. La moglie d’un dottore. Fam.
  2. T. Dicono anco Dottora in senso di Dottoressa; ma questo è più com.: nè Dottora ha il senso veramente di Donna addottorata. Far la dottora, Voler parere saputa, o savia, Dar sentenze e consigli. = Baldov. Comp. Dram. 1. 1. (Man.) Mancavi voi, dottora, a entrarmi in tasca. Salvin. Disc. 3. 11. Ne usciranno esse dottore e salamistre, e non ne potranno i buoni mariti con esso loro. [G.M.] Fag. Rim. Chi siete voi, Risposi, che mi fate la dottora?

A modo d’Agg. T. È troppo dottora. – A questo modo non si direbbe Dottoressa.

A dispetto della forte tentazione che potrebbe indurre a proseguire la consultazione del Tommaseo-Bellini, ci si fermerà a quelle finora spiluccate.

Si aggiungerà, però, sul versante attuale, che al cospetto del panorama linguistico offerto dal TB appare assai parco e piuttosto tendente a un livellamento per di più volto a bollare tentativi di valorizzare forme perfettamente in linea con la morfologia e già presenti, a pieno titolo, nel sistema linguistico, la situazione offerta dal Corriere suona mortificante. La ricerca, nell’archivio, condotta inserendo come chiave di ricerca presidenta non restituisce infatti alcuna occorrenza tra gli ultimi 753 risultati restituiti. Dato ancora più significativo, la ricerca è automaticamente corretta in presidente o presidenza, suscitando perplessità su quanto dell’italiano di metà ottocento si sarebbe perso se Tommaseo e poi Bellini avessero usato lo stesso criterio.

Ci si avvierà così alla conclusione accostando la voce ingegnera così come lemmatizzata in quel dizionario

INGEGNERA.

[T.] S. f. d’INGEGNERE; e come Agg. Salvin. Pros. Tosc. 1. 71. (Gh.) La… Natura, maestra sovrana ed ingegnera quaggiù, che piglia però l’esempio dall’eterno suo Facitore. E 2. 164. 208. T. Non sarebbe se non di cel., quando così non si chiamasse la moglie del sig. Ingegnere. E ci fu de’ mariti che diventarono Ingegneri in capo, perchè le mogli ingegnose provvidero al capo loro. = Bellin. Disc. 1. 50. (C) Quelle macchine delle quali nel teatro del corpo umano ha voluto la Divinità ingegnera far pompa nel condurre sì gran lavoro. V. INGEGNERE m., § 4.

a un post in cui si racconta di una vicenda occorsa una manciata di anni fa a una professionista del settore desiderosa di candidarsi per una posizione lavorativa

Gli stereotipi perpetrati dai social network: sei troppo bella per essere ingegnera!

LinkedIn, noto social network impiegato principalmente per lo sviluppo di contatti professionali, ha ritenuto un annuncio fasullo, cancellando la relativa candidatura, poiché la ragazza che dichiarava di essere ingegnera è risultata essere troppo bella. La vittima di questo brutto scherzo è Florencia Antara. Fortunatamente la scelta di LinkedIn è stata ritenuta sessista dal team di TopTal, un sito che si occupa di ingegneria del web, e il social network ha fatto marcia indietro parlando di un fantomatico errore e reintegrando gli annunci respinti.

cui, in un crescendo di stereotipia che via via si fa più subdola, si potrebbe accostare questo post, tratto da un post che della disonestà femminile ha fatto non un vanto ma il proprio nome (Donne disoneste)

Seneghe (OR) – Donna intesta decine di falsi contratti per cambio gestore elettricità

Senza titolo.jpg

Il modus operandi è del tipo: per criticarne una si spara contro tutte (dal particolare all’universale), usando, tra l’altro, una strategia retorica che muove dall’apparente esaltazione, rinforzata dal parere di uno stimato uomo di scienza le cui parole vengono però spacciate per propaganda.

In linea con il panorama offerto dal complesso dei testi citati è la pagina restituita da Google immagini alla ricerca di professor

professor.jpg

cui si potrebbe far seguire, spostandosi di fiore in fiore, il racconto delle asimmetrie semantiche e pragmatiche patite da

  • maestra vs maestro – ma nessun problema per maestra giardiniera (dei giardini di infanzia)
  • direttore vs direttrice
  • segretario vs segretaria.

A collante di tutti questi casi si potrebbe richiamare l’azione del bias dello status quo, quella distorsione valutativa dovuta alla resistenza al cambiamento. Cui si preferisce, esaltandola, la pratica routinaria, da non mettere in discussione e, anzi, da difendere non al di là, ma prima di ogni discussione, bollata come innecessaria e talvolta immorale in un mondo in cui “c’è chi muore di fame e rovista nei cassonetti” (da un post di Facebook a riguardo dei nomi di professione al femminile condito da abbondanti parole di odio per chi tentava di impiantare una discussione).

Una distorsione cognitiva che appare “naturale”, e perciò oggettiva, e al di sopra di ogni sospetto di chiusura da parte di chi sfodera la spada della lingua al cospetto della sindaca o dell’assessora di turno, ma non esita a servirsi di prossima settimana, piuttosto che disgiuntivo (vuoi mele piuttosto che pere per vuoi mele o pere?) o che, padre o madre, non esita a incoraggiare le proprie figlie a farsi belle per farsi inseguire da lui, destinato a farlo (Lines Huggies, spot del 2015). Rinnovando il copione del Ciclope che insegue Galatea che, speriamo, possa acquisire quel tot di consapevolezza per inseguire consapevolmente a sua volta o per non farlo affatto. Ma anche questa è una storia, una narrazione, vecchia quanto il mondo eppure autorigenerantesi nel suo spacciarsi o essere spacciata come nuova.

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[1] “Boldrini rottamata: la Lega alla Camera elimina “ministra”, “consigliera” etc.” Deputate leghiste mandano in pensione il “linguaggio di genere” voluto dall’ex presidente Laura Boldrini. […]E il fatto che l’iniziativa di tornare alla consuetudine istituzionale antecedente all’insediamento dell’onorevole Boldrini, che oggi a Montecitorio – malgrado il flop alle urne il 4 marzo – siede da “semplice” deputato nelle file di Liberi e Uguali, provenga da parlamentari di sesso femminile che non possono certo essere tacciate di becero “sciovinismo” e retrogrado “sessismo maschile” è uno smacco ancor più grande per l’ex terza carica dello Stato e i suoi (pochissimi, a dire il vero) seguaci (http://www.affaritaliani.it/politica/boldrini-rottamata-lega-a-montecitorio-cancella-ministra-consigliera-etc-564000.html)

* Questo contributo è apparso sul portale Said in Italy. Il pensiero Made in Italy… nelle parole della sua gente