Un giro al Muciv, il Museo delle civiltà di Roma: che genere di visita?

Francesca Dragotto (per curiosare nel mio sito di diviulgazione linguistica)

La prospettiva di genere in questo racconto coinciderà con quella relativa alla donna, pur con la consapevolezza che il rapporto tra generi va ben oltre il duopolio uomo-donna.

Una battuta sul genere

Cosa non è: implica la marca biologica ma la sola marca biologica non basta per definirlo e per fare di un essere di sesso maschile un uomo e di uno di sesso femminile una donna.

Cosa è: una costruzione mentale che, come tutto ciò che ha a che fare con la mente, non può essere disgiunta dalla società.

Ciascuna persona infatti costruisce se stessa progressivamente, modellandosi e rimodellandosi man mano che la sua vita, biologica e sociale, va avanti

Si potrebbe pensare che una affermazione del genere costituisca una via di fuga dal riferimento all’orientamento sessuale, con cui spesso si sovrappone la questione dell’identità di genere. Ma l’orientamento sessuale è solo una delle componenti che definiscono il genere. Così come lo è il ruolo di genere, ovvero l’insieme delle funzioni che ci si attribuisce in funzione del sesso (genere biologico) e del continuo confronto tra sé, il mondo e la distribuzione dei ruoli che ci propone, le altre persone.

In una battuta, il genere è una costruzione complessa che, nel caso di chi come noi, usa una lingua in cui ci si serve di “pezzettini” per marcare un altro tipo di genere, quello grammaticale, ci avviluppa finendo per darci della realtà una rappresentazione che, in assenza della conoscenza, finisce per non farci vedere quanto ciascuna persona – e per conseguenza ciascuna scelta – sia in risultato di una complessa intersezione tra fattori di natura biologica, sociale e culturale.

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Qui sopra la copertina di National geographic di gennaio 2018, monografico relativo al genere, in cui è presente anche un dizionario terminologico pensato proprio per aiutare a capire ciò nella comunicazione di massa – e soprattutto social – appare spesso confuso e non di rado intenzionalmente).

Mettendo da parte questioni epistemologiche che meriterebbero un approfondimento anche per prevenire trappole comunicative, adotteremo ora la prospettiva di chi si serve della rete per cercare le occorrenze (dove e come la parola è usata) del termine.

Oltre ai suoi diversi significati, troveremo genere spesso all’interno di locuzioni riferite a

  • violenza di genere
  • stereotipi di genere

Le due cose, pur essendo trattabili ciascuna autonomamente, appaiono tra loro legate più di quanto non si possa credere.

Non ne spiegherò la ragione in modo dichiarativo, ma farò in modo che venga fuori da sé decostruendo testi o porzioni di testi che ciascuno di noi ha agìto nella propria esperienza. Questa condizione si verifica in ogni dove e in ogni luogo perché è conseguenza stessa dell’aver fatto del linguaggio e dei linguaggi una delle abilità complesse fondamentali della specie.

Proprio perché si potrebbe partire da ogni posto e da ogni tempo, trarrò spunto dalla home page del circuito museale di cui il Museo dell’Alto medioevo costituisce una parte.

Tornerò dopo, eventualmente, sulla questione della titolazione, nella fattispecie riferita ad Alessandra Vaccaro.

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Spicca la sezione dedicata a

“I venerdì del museo delle civiltà”

  • bonsai e ikebana
  • kamishibai
  • oreficeria antica
  • geisha

Quattro venerdì, quattro eventi interessanti anche dal punto di vista delle questioni di genere.

Partirò dall’ultimo

geisha

Geisha – l’arte e la persona

  1. la raffigurazione tradizionale (traiamo spunto dalla pagina del museo in cui si presenta l’iniziativa)
  2. il ruolo delle labbra: l’ochobo
  3. le conseguenze derivanti dalla forma delle labbra

L’OCHOBO DELLA GEISHA

  • ochobo: liberation wrapper video pubblicità
  • per capire quanto sia diventato virale questo spot, e con esso la pratica tradizionale di ochobo, basta dare un’occhiata a questo video statunitense
  • dall’altra parte del mondo, sempre di bocca e di donne si tratta, stavolta per liberarle dallo stigma connesso all’azione di fumare: Stati Uniti, 1929

Equità sociale o solo una pubblicità meno esplicita di quella dell’incarto per la liberazione dallo spell di ochobo?

  • da pubblicità a pubblicità, che ruolo ha la bocca in quella italiana? usando lo stesso criterio, adottiamo la prospettiva di noi stessi/e intenti/e a cercare risposte in rete. Interroghiamo Google servendoci della stringa “pubblicità italiana e bocca”.

Questo lo screenshot delle prime immagini restituite dal motore di ricerca (argomento su cui torneremo più avanti)

pubblicita_italiana_bocca

La bocca nella/della pubblicità italiana è:

sui pezzi di carne difficile resistere alla tentazione di rinviare al manifesto (peraltro plagio, visto che l’immagine è stata presa da una campagna di intimo) della trattoria-bisteccheria “Bruno” di pochi giorni fa

bruno

Ma c’è dell’altro: la sessualizzazione a volte lambisce la pornografia. Come ne caso di questa campagna

xxl

per Burger king, per reclamizzare il panino xxl; la riprende, identica per tutto salvo che per il logo, alcuni anni dopo Durex (profilattici xxl). Sarebbe troppo facile allestire un catalogo di pubblicità sessiste, in continuo aggiornamento, peraltro. Non è questo lo scopo del discorso, ci si limiterà a pochi altri esempi, il primo basato su una locuzione della lingua dell’uso medio usata in senso rovesciato (“Fatti il capo”), il secondo, basato ancora su una de-metaforizzazione, sul nome di un vino – Passera delle vigne Lepore con delle vigne scritto più in piccole così da far risaltare Passera Lepore – versato in un bicchiere impiegato in funzione di eufemismo fondato sulla somiglianza iconica rispetto all’organo sessuale e di sineddoche (parte per il tutto) rispetto al corpo.

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Nel terzo e ultimo, di importazione, si gioca invece sull’incapacità di contenimento: lo slittamento in questo caso è da shopping (componente verbale, attraverso il nome del brand) a urina (componente iconica)

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“Cercate di contenere il vostro entusiasmo”

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Chiusa questa digressione che ci ha portato in giro per il mondo e in Italia, ritorniamo alla geisha e in generale alla donna giapponese.

LA DONNA NELLA LINGUA E NELLA SCRITTURA GIAPPONESE: essere onna, essere otoko (Simona Falato, “La lingua giapponese delle donne e la donna nella lingua giapponese”, in Grammatica e sessismo 2, Roma, 2015, pp. 71-82)

Come si traducono in italiano queste parole?

onna: ‘donna, femmina, ragazza, bambina, fanciulla, amante, mantenuta e concubina’

otoko 男 : ‘uomo, maschio, bambino, fanciullo, amante’

Non tutto ciò che esprime onna si ritrova in otoko: manca ciò che in onna indica l’essere ‘mantenuta’ e ‘concubina’.

La parola onna è strettamente legata alla sfera sessuale della donna, come si evince dal confronto tra queste due locuzioni:

  • la frase Tetsuo-kunwaotoko ni natta 鉄男くんは男になった : letteralmente ‘Tetsuo è diventato un uomo’, significa ‘Tetsuo è diventato indipendente’
  • la frase Haruko-san waonna ni natta 春子さんは女になった, letteralmente ‘Haruko è

diventata una donna’, significa ‘Haruko ha avuto la sua prima mestruazione’ oppure ‘il suo primo rapporto sessuale’.

L’aggettivo yoi o ii, letteralmente ‘buono, positivo’, si polarizza in modo differente a seconda del referente: se riferito a un uomo – ii otoko いい男 – significa ‘un brav’uomo’; se a una donna – ii onna いい女 – si traduce con ‘una bella donna’ ed è espressione usata solo dagli uomini.

In giapponese infatti esiste una varietà metandrica, impiegata cioè solo dagli uomini (per converso esiste la onnakatoba che, come rivela il primo membro del composto, è riservata alle donne ma è lungi dal godere del prestigio sociale della lingua metandrica: si rifà infatti a un principio di eleganza): né si tratta di un caso isolato o limitato ai soli uomini.

In altre culture, per esempio, esistono varietà solo femminili: è il caso del nu-shu, una varietà in questo caso scritta cinese, spesso camuffata nelle trame di abiti, ventagli o delle loro rappresentazioni, sviluppata per aggirare il divieto per le donne, perdurato vari secoli, di ricevere una educazione scolastica e conseguentemente anche i rudimenti della scrittura. Questa scrittura sillabica costituiva un retaggio delle donne del popolo.

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La pratica del nu-shu spesso si trova associata a quella della fasciatura dei piedi, funzionale a raggiungere un risultato di eleganza in linea con il canone.

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Se in alcune culture è la bocca e la sua dimensione e colore a ricevere una “modellazione” rispettosa del canone e, in altre, il piede, ci sono casi in cui sono i capelli o la pelle tout-court a esprimere la propria collocazione e reputazione sociale.

Il colore della pelle

Il colore della pelle, tratto sensibile e fortemente portatore di stigma giacché marcatore di inclusione/esclusione rispetto al gruppo dominante (cfr. l’avverbio extra> stra- e i suoi derivati strano/estraneo/straniero, dove il significato di extra è quello di “al di fuori di”; significato che appare sovrapponibile a quello di greco barbaros).

Tra le varie espressioni che si potrebbero assumere a esempio si prenderà questa: spot del detersivo cinese

Razzismo o ironia?

Si tratta di una diatriba perenne, che perennemente tira in ballo la questione del politicamente corretto, con cui ogni tipo di lavoro di decostruzione e successivo tentativo di diffusione di pratiche educative e comunicative più attente a non cadere negli stereotipi suscitano da parte di larghe fette della società.

Sugli stereotipi torneremo più avanti. Per trattare del nu-shu è stata lasciata in sospeso la questione della rappresentazione attraverso la scrittura giapponese, i kanji 漢字, della donna e di ciò che le ruota intorno.

Si tratta di un alfabeto ideografico, che in Giappone convive con altre due scritture: lo hiragana ひらがな (generalmente usato per le parti morfologicamente variabili dei vocaboli) e il katakana カタカナ (usato per la traslitterazione dei forestierismi non cinesi e per enfatizzare le parole).

Quanto ai kanji, sono stati importati dalla Cina nel V sec. d.C. e sono stati adattati a una lingua completamente diversa da quella cinese (monosillabica). Esistono circa 50.000 kanji in totale, ma ne servono poco meno di 2.000 per vivere, studiare e lavorare in Giappone. Ogni kanji ha un suo significato, ma unito ad altri può dare vita a differenti termini. Inoltre alcuni kanji sono scomponibili a loro volta in parti più piccole dotate di significato, chiamate radicali.

Analizziamo per primo il kanji di otoko:

男è scomponibile in due radicali: nella parte inferiore si trova ‘la forza’ (力), in quella superiore ‘il campo di riso’ (田). Provenendo dalla Cina, l’immagine è nata naturalmente nel periodo in cui l’antica economia cinese si basava sul lavoro nelle risaie. Di conseguenza l’uomo è rappresentato con quello che è considerato il suo compito primario: sostenere la propria famiglia attraverso il lavoro.

Il kanji di otoko può diventare a sua volta un radicale, e si trova all’interno di yuu 勇, il quale, unito al kanji di ‘spirito’ (ki気), forma la parola yuuki 勇気, ‘coraggio’. Dunque il coraggio può essere considerato una caratteristica maschile.

女non è scomponibile, ma si trova come radicale all’interno di più di cento kanji, e può formare, quindi, termini positivi e termini negativi.

Tra i termini positivi si trovano i seguenti:

1) Suki 好き, ‘amare’: il kanji è composto dal radicale di ‘donna’ 女 e da quello di ‘bambino’ 子, e rappresenta i maggiori affetti di un uomo: la propria donna e il proprio figlio. Naturalmente il punto di vista per la formazione di questo kanji è maschile.

2) Yasui 安い, ‘economico’: rappresenta una donna sotto un tetto. Unito al kanji di shin 心 forma la parola anshin 安心, ‘serenità’. Dunque la serenità è data dall’avere una donna sotto il proprio tetto.

Sono numericamente superiori i termini negativi che si formano dal radicale di onna:

1) memeshii 女女しい, ‘codardo’: si forma con la ripetizione del kanji di ‘donna’.

2) kashimashii 姦しい, ‘rumoroso’: il kanji è costituito da tre radicali di donna.

3) netamu 妬む, ‘essere invidioso’: il kanji è costituito dal radicale di ‘donna’.

4) kantsuu 姦通, ‘adulterio’: si forma con l’unione del kanji delle donne e quello di ‘esperto’. Le donne, quindi, sarebbero esperte nel tradimento e l’adulterio diventa prerogativa femminile.

5) kobiru 媚びる, ‘adulare. Il kanji è costituito dal radicale di ‘donna’.

6) goukan 強姦, ‘stupro’. È formato da un primo kanji che significa ‘fare forza’ e da quello costituito da tre donne. Le femministe giapponesi ritengono che, con questa definizione dello stupro, la colpa ricada in qualche modo sulle donne, che sono presenti all’interno del kanji, (anche se come vittime) mentre non è presente la figura del carnefice (l’uomo). Inoltre si limita il concetto di stupro a quello sulle donne, mentre esiste anche la violenza sugli uomini e sui bambini.

Moglie e marito

La forte contrapposizione dei concetti di donna e di uomo è legata anche a quella esistente tra moglie e marito, da un punto di vista sia grafico sia semantico.

In giapponese, per indicare la propria moglie, si usa il termine kanai 家内, che è costituito dai kanji di ‘casa’ 家 e ‘interno’ 内: il luogo in cui è relegata la moglie è l’interno della casa e, ancora una volta, si sottolinea la stretta connessione tra donna e privato, non sociale. È giusto riconoscere che, comunque, questo vocabolo piuttosto antico è usato ormai soltanto dalle generazioni più anziane, ed è stato quasi totalmente sostituito dal più generico tsuma 妻.

Diverso è il discorso relativo al marito. Per indicare il proprio e quello altrui è ancora molto frequente l’uso del termine go-shujin ご主人, formato dall’onorifico go e dal vocabolo shujin, usato durante il periodo feudale nel rapporto servo-signore e traducibile come ‘padrone’. Go-shujin si può tradurre letteralmente ‘onorevole padrone’, e il suo significato è stato ampliato al concetto di marito soltanto nel XIX° secolo

La donna nella società giapponese

L’obiettivo primario della donna in Giappone è il matrimonio: con esso l’individuo femminile si realizza in società, ma soprattutto risponde alle aspettative di famigliari, amici e conoscenti. L’obiettivo, però, deve essere raggiunto prima del compimento del ventiseiesimo anno: superati i ventisei anni, infatti, si giustifica il nubilato solo con il brutto aspetto della donna o con il suo pessimo carattere.

A seguito del matrimonio la donna giapponese generalmente lascia il lavoro in cui è impiegata, anche se per ottenerlo si è laureata e ha sacrificato anni di studio; il motivo è l’impossibilità di avere una famiglia in un Paese in cui gli impiegati – la stragrande maggioranza della popolazione attiva – lavorano anche dieci o dodici ore al giorno. Se una donna giapponese si dedica alla carriera e rimanda il matrimonio, sa che andrà incontro al biasimo sociale: non importa il livello professionale che raggiungerà, avrà comunque mancato l’obiettivo primario.

Per le donne nubili che hanno superato i ventisei anni esistono le seguenti parole denigratorie:

1) ourudomisu オールド・ミス: dall’inglese oldmiss, ovvero ‘vecchia signorina’. Questo termine è rivolto a tutte le nubili, indipendentemente dall’età, e quindi anche per le donne che hanno poco più di ventisei anni.

2) ikiokure 行き遅れ: composto dai termini iki (forma base del verbo iku, ‘andare’) e okure (‘ritardo’), si traduce letteralmente ‘andare in ritardo’.

3) urenokori 売れ残り: si traduce come ‘giacenza di magazzino’. È il termine peggiore, che svilisce il concetto stesso di matrimonio, il quale si trasforma in un semplice rapporto di compravendita.

Anche in questo caso la lista potrebbe continuare, senza modificare sostanzialmente il ritratto sociale fin qui tratteggiato.

Alcuni spunti suggeriti dal resto della home page del Muciv

GIOIELLI E QUESTIONI DI GENERE

Locuzioni e proverbi: i diamanti sono i migliori amici delle donne, i gioielli sono invece… di famiglia per gli uomini.

Un diamante è per sempre: per lei, simbolo per eccellenza dell’amore provato da chi glielo ha donato.

Il sentimento comune è ben espresso da questo repertorio di aforismi e frasi celebri sui gioielli e diamanti, consultabile anche per tipo di gioiello.

Non nella home del Museo ma con esso connesso, giacché è attraverso di esso che alla home si è arrivati, si avverte il peso dell’implicazione di

MOTORI DI RICERCA, DISCIPLINE STEM E QUESTIONI DI GENERE

Mountain view: 83% di sviluppatori

Coding girls: accoppiata impossibile?

Indagine InMobi su sviluppatori di app (quali uomini?)

La fisica è stata inventata dagli uomini e non è su invito? (resoconto da Vanity fair)

Il discorso potrebbe continuare… e a lungo. Si potrebbero moltiplicare contesti, discipline, paesi, culture ed epoche. Senza riuscire a venir fuori dal complicato groviglio che lega

PREISTORIA E PROTOSTORIA

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“Le donne della preistoria forti come Braccio di Ferro”

STEREOTIPI E (QUESTIONI DI) GENERE

Principalmente concernenti le donne, se si guarda all’ambito delle professioni; penalizzanti gli uomini se invece a essere investigato è il rapporto tra genere e emozioni, professioni della cura e ambiti dell’educazione.

Si potrebbe e dovrebbe dire che oggi la situazione è a macchia di leopardo e che è destinata a progressivi e incessanti cambiamenti. Verrebbe la tentazione di discuterne e, così facendo, ci si allontanerebbe ancora dal core issue di questa riflessione

STEREOTIPI DI GENERE E VIOLENZA DI GENERE: CHE GENERE DI RELAZIONE?

La stessa che lega un treno a un binario. Provate a immaginare cosa accade quando il treno va fuori dai binari.