La Repubblica del 24 febbraio 2020
Articolo di Cristina Palazzo
Su 2200 strade in città solo 65 sono intitolate a donne e in gran parte sono madonne, sante o regine Le ultime intitolazioni non cambiano di molto la percentuale: dal 2016 solo 8 su 44 al femminile
La toponomastica a Torino è roba da uomini. Più che in altre città italiane, anche Roma. Lo dicono i numeri, quelli in assoluto delle vie, solo 65 su oltre 2.200 sono intitolate a donne, di cui un terzo a madonne, sante e beate, e un altro terzo invece a regine, a patriote e a vittime delle lotte politiche e delle guerre e il resto divise tra letterate, donne dello spettacolo e artiste. E i nomi maschili? Quasi metà del totale, ossia 1.054.
Una fotografia, sia chiaro, non solo torinese. La situazione è simile in molte altre città. Se nel capoluogo sabaudo la percentuale delle vie “rosa” è di poco meno del 3 per cento, la media italiana non supera il 5. Ancora peggiore poi sotto la Mole è l’ “indice di femminilizzazione” «ossia il rapporto tra intitolazioni maschili e femminili» , spiega Loretta Junck, referente piemontese dell’associazione toponomastica femminile che da tempo ha abbracciato questa battaglia con iniziative, mostre, e siti online.
Quell’indice è del 6 per cento a Torino, quasi due punti in meno della media nazionale.E se negli ultimi anni qualcosa si è mosso, dopo un ventennio di silenzio a cavallo degli anni 2000 ,«non è ancora abbastanza. Dal 2016, su 44 nuove intitolazioni solo 8 sono a donne. Di cui cinque scelte perché in qualche maniera vittime: di violenza, della politica o di disgrazie. Stiamo aspettando un nuovo quadro della commissione toponomastica di Torino ma la verità è che sul tema si fanno tante parole ma pochi fatti».
Uno dei problemi che frena il riequilibrio è anche che a Torino tutte le strade hanno già un nome, che difficilmente può essere cambiato. Si pensi ai disagi che si potrebbero causare con indirizzi, mappe o servizi. E diversamente da altre città, come Roma dove lo sprint degli ultimi anni ha portato l’indice di femminilizzazione a superare l’8,5 per cento grazie alle periferie che offrono nuove strade, qui non ne nascono di nuove.
Così Torino ha scelto di “ripiegare” sui giardini o piazze, come per l’ultima intitolazione a Teresa Noce, torinese, madre costituente, partigiana, antifascista e politica italiana con un giardino nei pressi dell’ex fabbrica Incet «arrivata dopo un lungo periodo di oblio. Un nome proposto da noi quando la circoscrizione 6 ha chiesto alle realtà del territorio di aiutare nella scelta, mettendo ai voti le proposte. È stata un’occasione per organizzare uno spettacolo su Teresa Noce rivolto ai più giovani», sottolinea Junck.
La strada però è lunga perché «è difficile far capire quanto sia importante, nelle stanze dei bottoni resta più una battaglia politica: la toponomastica è l’agone su cui si incrociano le lame dei vari gruppi. Torino è presente per molte battaglie, per questa ancora fa fatica».
È una questione, però, prima di tutto « simbolica e di stimoli: se le bimbe leggono solo nomi e ruoli maschili credono che sia normale che non ci siano donne che meritano strade. È come per i libri di storia nelle classi elementari. Quante bambine si chiedono: ma non c’erano donne? È una discriminazione a prescindere», spiega Stefania Cavagnoli, professoressa dell’Università di Roma Tor Vergata, intervenuta al convegno in tribunale a Torino su “Il linguaggio di genere nella realtà della professione forense della magistratura: a che punto siamo”. «La toponomastica è molto importante per potersi rivedere e identificare. E questo conferma come il mondo giri intorno a una visione androcentrica, a partire dalla lingua.
Spesso accade che ci siano vie che sono intitolate a prostitute o stereotipi della lingua, si pensi a via delle Zoccolette o via delle Orfane. Mentre sono assenti nomi importanti di giuriste, madri costituenti, sindacaliste, insomma donne che hanno segnato la nostra storia e civiltà».
E allora come cambiare lo sguardo? «Far diventare normale la firma “magistrata” o che una via sia intitolata a una donna. Insomma cambiare l’approccio con la quotidianità precisa Cavagnoli -. Basta rispettare la correttezza della grammatica e capire che, anche durante una passeggiata, leggere un nome su una targa è uno stimolo, superando l’abitudine culturale. È questi sono tempi buoni per farlo».
Quando una strada non ha un nome è più sicura perché non rappresenta o non rievoca niente come l’anonimato che è solo una fragile bolla di sapone , a me non sono mai piaciute le madonne, le sante e le regine e non mi piacciononeanche i nomi delle sciamane perché mettono noia, la contemporaneità potrebbe portare un vento nuovo….anche la costituzione italiana ha bisogno di parole nuove