OGGI LE DONNE.
Intervista a Dacia Maraini
di Michael Lucidi (Macroarea di Lettere, UTV)


Dacia Maraini è da considerarsi a pieno titolo tra le figure più importanti della letteratura italiana contemporanea: la sua prolifica produzione, che parte dal 1962 con il romanzo La vacanza e arriva fino al 2023 con Vita mia, l’ha resa una scrittrice di fama internazionale. Nel corso della sua lunga carriera, oltre che da un punto di vista puramente letterario, è stata un fondamentale punto di riferimento del movimento femminista italiano, schierandosi nelle prime file in moltissime lotte; questo suo impegno per la condizione delle donne è stato pertanto rappresentato in moltissimi dei suoi lavori, come L’età del malessere (1963), Donna in guerra (1975), Dialogo di una prostituta con un suo cliente (1978) e Voci (1984).
Data quindi la forte attenzione che in questo momento storico viene data al fenomeno dei femminicidi, e conseguentemente al ruolo della donna nella società attuale, Dacia Maraini è immediatamente apparsa come un oracolo da consultare, come una mente perfettamente limpida da interrogare per fare chiarezza e, forse, per trovare delle risposte.
D: Cosa ricorda con più piacere degli anni dei movimenti femministi di cui lei fece parte? E in che modo crede sia cambiata l’accezione data al termine femminismo diciamo dagli anni ’60 ad oggi? R: Ricordo l’idealismo e l’entusiasmo con cui ci battevamo per cambiare il mondo. Credo che il movimento femminista sia stata una vera rivoluzione per il nostro paese. Tutte le leggi arcaiche trascinatesi fino al ‘68 sono state cambiate, i costumi sono stati rivoltati, la famiglia ancora ne risente, ma perché molti non hanno il coraggio di cambiare e di fronte alle nuove libertà femminili perdono la testa. Troppo comodo avere una donna in casa che lavora gratuitamente, una donna di proprietà da cui si pretende fedeltà e sacrificio. Molti uomini, naturalmente quelli più fragili e spaventati, vengono talmente sconvolti dalle novità che possono trasformarsi in assassini, non solo della donna che dicono di amare, ma anche dei loro figli. La cronaca ce lo racconta quasi tutti i giorni.
D: Negli ultimi tempi, soprattutto a seguito dell’omicidio di Giulia Cecchettin, si è tornato a parlare di femminicidi, e di come anche nell’ultimo anno se ne sia verificato un numero importante. Lei ne ha parlato nello splendido Voci (Rizzoli, 1994): si trova d’accordo con le parole di Elena Cecchettin, sorella di Giulia, secondo cui la cultura dello stupro esista in quanto “costola” della cultura patriarcale, oppure crede che le radici del problema vadano ricercate altrove? R: Sono totalmente d’accordo con la sorella della povera Giulia, Elena Cecchettin. Lo stupro in natura non esiste, è una invenzione umana che è sempre servita in guerra per umiliare e assoggettare il nemico. Non si tratta solo di una violenza fisica; il suo significato più profondo sta nell’intento di inserire nel ventre del nemico, come un cavallo di Troia, il proprio seme, per affermare che il futuro apparterrà al vincitore. Questo il significato simbolico dello stupro, che non ha assolutamente niente a che vedere né col desiderio, né col piacere.
D: Cosa scatta, secondo lei, nella mente di un uomo che non riesce ad accettare un rifiuto da parte di una donna? Secondo quali criteri l’assassino si sente autorizzato a compiere il crimine? R: Secondo me l’uomo fragile che identifica la propria virilità col possesso, quando viene rifiutato, si sente offeso nel profondo della sua idea di identità maschile e questo lo mette talmente in crisi da trasformarlo in un assassino, non solo della donna, ma spesso anche dei figli. Se fossero le donne a compiere questi eccidi, si parlerebbe con orrore di un risveglio di Medea, donna della leggenda portata sempre ad esempio della gelosia e della crudeltà femminile.
D: Ultimamente si parla molto anche della cosiddetta “emancipazione femminile” e di come questa ponga come dei limiti agli uomini. Nella sua carriera lei si è occupata di donne che non riescono a liberarsi della dipendenza (soprattutto emotivo-affettiva) dagli uomini, penso ad Enrica e alla contessa Bardengo nell’Età del malessere (Einaudi, 1963): fino a che punto si può parlare di inconsapevolezza della donna e in che momento e in che modalità subentrano le abilità manipolatorie di un uomo? R: Non sono le manipolazioni dell’uomo, ma i dettami di una cultura arcaica che si riferisce a Dio. Rammentiamo le nostre origini cristiane, le leggende della Bibbia, la
colpevolizzazione della donna che ha mangiato la mela proibita, e con questo ha provocato la cacciata dal Paradiso. Le donne spesso hanno introiettato il senso di colpa. Di fronte alle parole e alla volontà di Dio, come si può pensare altrimenti?
D: Sempre continuando a parlare di libertà, in un dialogo con Enzo Biagi del 1983 lei sembra parlare liberamente di sessualità e omosessualità, in particolare in riferimento al romanzo che aveva pubblicato un paio d’anni prima, Lettere a Marina (Bompiani, 1981). Fu quella un’eccezione che le fu concessa, oppure in quegli anni non vi erano tabù imposti nell’ambito del sesso? E ad oggi, una donna è libera di parlare di ciò che vuole al pari di un uomo? R: Molte cose sono in effetti cambiate dopo la rivoluzione del Sessantotto, sia nel comportamento maschile che femminile. Perfino la Chiesa ne ha risentito. Basta ascoltare le parole del papa Francesco, che prima del Sessantotto sarebbero state impossibili. Comunque è più facile cambiare delle leggi, che una mentalità che allunga le radici nei millenni e si è nutrita di divine verità rivelate che sono diventati luoghi comuni, tanto che molti pensano che sia la natura a creare i ruoli e non la cultura.
D: Lei ha giudicato in maniera positiva il comportamento della presidente Giorgia Meloni riguardo alla separazione dal suo compagno, tanto da aver detto su di lui «Lasciamo stare la morale, il femminismo e tutto questo, ma si è comportato in una maniera un po’ misogina e vecchio stile arcaico, maschilista» (ANSA). Questi tipi di atteggiamento sono delle isole all’interno della nostra società, oppure ritiene siano molto più diffusi di quanto si pensi? Secondo la sua esperienza, com’è cambiato, se è cambiato, il modo di relazionarsi con le donne da parte degli uomini nel corso degli anni? R: È cambiato moltissimo. Sono proprio questi cambiamenti che mettono in crisi alcuni nostalgici della vecchia famiglia contadina. Gli uomini sani e saggi hanno capito e si adeguano, anche se devono rinunciare ad alcuni privilegi, altri puntano i piedi e si disperano. Non vogliono accettare i cambiamenti. Le donne oggi sono entrate in tutte le professioni, cosa che fino a due generazioni fa era inconcepibile. Infatti non c’era neanche il nome per certi mestieri: ingegnere, architetto, chirurgo, presidente, ecc. In quanto a Giorgia Meloni penso che sia una donna intelligente e di carattere, ma certo si è dimostrata contraddittoria: da una parte esalta la famiglia, la maternità, l’essere donna, dall’altra si
fa chiamare Il presidente, taglia i fondi agli asili nido, non si è mai sposata pur partorendo una figlia e ora ha pure cacciato di casa il suo compagno.
D: Lei avuto rapporti professionali e di amicizia con diversi protagonisti del Novecento: Moravia, Pasolini, Siciliano e molti altri. Con chi di loro si è trovata maggiormente in accordo su questi temi, e con chi invece sentiva di non essere pienamente in sintonia? R: Certamente con Alberto Moravia, che è stato il più aperto e il più coraggioso nell’accettare i cambiamenti. E questo è successo già quando era sposato con Elsa Morante che era una femminista anti litteram. Con Pasolini abbiamo avuto qualche discussione, perché lui non vedeva di buon occhio il femminismo, ma non perché fosse reazionario, ma perché, da vero anarchico, diffidava di ogni organizzazione. Infatti è stato severo anche con il Fuori! che era una ottima organizzazione che rivendicava i diritti degli omosessuali. Lui non nascondeva di esserlo ma diceva che ogni organizzazione di protesta poi si trasforma in potere e questo lo rendeva critico. Ma la nostra amicizia, che era costruita sull’ affetto e la stima, non ha sofferto di queste discussioni. Io sapevo che per lui la ragione non era uno strumento di conoscenza, ma qualcosa di cui diffidare. Infatti si affidava soprattutto al suo istinto e alla sua sensibilità. D: Come ultima domanda uno sguardo al futuro, che idea ha riguardo le proposte di inserire educazione su questi temi in ambito scolastico? Pensa che siano fortemente necessarie per far sì che tali azioni smettano di verificarsi? R: Sì penso che sia necessario inserire nelle scuole delle lezioni, non le chiamerei di educazione sessuale, ma di educazione ai rapporti. Lezioni in cui si insegni il rispetto dell’altro, la sacralità del corpo umano che non può mai essere posseduto, violato, umiliato o malmenato. Mi risulta che ancora a scuola si insegnino i ruoli. Basta sfogliare i libri che vengono dati in mano ai bambini. Si ringrazia infinitamente Dacia Maraini per la cortesia concessa nel rilasciare quest’intervista. Un ringraziamento anche ad Eugenio Murrali e al Prof. Fabio Pierangeli che hanno reso possibile lo scambio con l’autrice.